domenica 1 giugno 2008

ALTRI

Mi si dirà che quanto riporterò qui sotto non c’entra nulla con San Vincenzo. È vero solo in parte.
La cultura o subcultura o a-cultura, ciascuno si senta libero di chiamarla come vuole, dominante e diffusa, o forse semplicemente il “senso comune” che impera in tutt’Italia, non fa bene neppure a chi cerca di fare politica, seppure a livello locale, ispirandosi a determinati valori.
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Se non prestiamo attenzione alle metamorfosi della società e guardiamo soltanto alle inqualificabili azioni dell’Amministrazione Biagi diamo – innanzi tutto – troppa importanza a Biagi e i suoi, e rischiamo l’incomunicabilità con la cittadinanza.
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Ieri il giornalista (uomo) che ha condotto il TG5 delle 13:00, introducendo la notizia della scoperta di una tribù in Amazzonia, ha spiegato che questi indios non hanno mai visto un uomo”.
Avete letto bene. Quegli indios non hanno mai visto l’uomo… saranno tutte donne... e come hanno fatto a…
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Queste circostanze sono preziose perché permettono a noi, uomini, di capire quale proiezione culturale abbiamo della nostra cultura e società. In questi lapsus emerge chiaramente entro quali confini ricada la dialettica del confronto fra civiltà (e fra generi).
Penserete che questo indecoroso scivolone sia isolato. Errore.
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Ecco cosa si scrive nell’articolo dell’ANSA che potete leggere sullo stesso sito: “Si calcola che alle sorgenti del fiume Envira, nello stato brasiliano dell'Acre, vivano circa 250 indios che mai hanno avuto contatti con l'uomo bianco”.
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Per l’ANSA dunque questi indios avrebbero sì visto degli uomini ma mai bianchi. E neri? E gialli? È significativo che l’ANSA non pensi al fatto che una tribù che vive nell’Amazzonia non abbia mai visto un nigeriano piuttosto che un cinese o un guatemalteca. Si fa presente che non ha mai visto l’uomo bianco. Su cosa sia l’uomo bianco c’è e ci sarà ampio dibattito. Gioverà ricordare che, nella seconda metà dell’ottocento, negli USA, i migranti italiani non erano affatto considerati bianchi. Bianco non è un colore ma una definizione culturale in evoluzione che ha un radicamento ed una ragion d’essere solo in un modo razzista di spiegare la realtà e la diversità (razza bianca, razza rossa, razza nera…).
Insomma, se credere che gli indios non abbiano mai visto l’uomo è un buco, precisare che non hanno mai visto l’uomo bianco è una toppa peggiore del buco.
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Ma c’è di peggio. TGCOM titola senza pudore: “tribù lancia frecce ad un aereo”. Ecco spiattellato il mito, che si riteneva desueto, del selvaggio ingenuo (sorvoliamo sull’ingenuità di chi si ritrova Bondi Ministro della cultura o di chi ha creduto che il porto di San Vincenzo non avrebbe provocato erosione). Nell’articolo si ha poi la cortesia di precisare che “queste tribù vivono nei luoghi più remoti della terra, in regioni inesplorate, in cui la civiltà non è riuscita ad arrivare”.
Tribù e luoghi incivili dunque. Luoghi da rifuggire o, molto meglio, da INCIVILIRE.
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Infine in questa rassegna che mi sono sentito in dovere di offrirvi, non può mancare il magistrale pezzo di Repubblica.it.
Vediamo chi sono “loro” e chi siamo “noi” secondo un giornale di “sinistra”.
Noi saremmo gli “uomini industrializzati” (qualcuno mi spieghi cos'è un uomo industrializzato, per favore). Certamente mentre noi abbiamo bisogno di bravi psicoanalisti, la “tribù degli uomini rossi”, come la definisce il giornalista Bignami, può farne a meno.
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Loro sono… INDIANI. Indiani? Siamo sicuri? Di Calcutta? Di Bombay? Indiani di dove? Repubblica.it tuttavia ci tiene ad essere precisa e, dopo aver riportato la relazione della fondazione che ha fotografato la tribù che nota come gli "abitanti sono guerrieri forti e in buona salute” aggiunge quanto segue: In realtà in un'immagine si vedono dei giovani uomini completamente dipinti di rosso che lanciano frecce con dei grossi archi verso l'aereo, mentre altri stanno a guardare.”
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Insomma altro che guerrieri forti ed in buona salute! In realtà “loro” sono una tribù di sciocchi arcieri e fannulloni beoti. Invece “noi”, gli uomini bianchi, gli uomini industrializzati, i civili o più semplicemente gli uomini... Ma, a proposito, noi chi?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato
quando l'ultimo albero sarà abbattuto
quando l'ultimo animale sarà ucciso
solo allora capirete che il denaro non si mangia

PROFEZIA CREEK

Anonimo ha detto...

Nel lontano XVI secolo, tanta acqua è passata sotto i ponti ormai, un filosofo francese di nome Michel Eyquem signore di Montaigne scriveva nei suoi "Saggi": "La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria. La più calamitosa e fragile di tutte le creature è l'uomo, e al tempo stesso la più orgogliosa. Essa si sente e si vede collocata qui, in mezzo al fango e allo sterco del mondo, attaccata e inchiodata alla peggiore, alla più morta e putrida parte dell'universo, all'ultimo piano della casa e al più lontano della volta celeste..." Sempre in quest'opera, questo filosofo francese parla dei cannibali (il lettore tenga presente che a quel tempo era da poco stata scoperta l'America con tutti i crismi che tale scoperta provocò)e dell'uomo europeo , ovvero l'uomo "civile" -oggi si direbbe industrializzato, insomma il borghesuccio e scrive: "Ora mi sembra, per tornare al mio discorso, che in quel popolo - Montaigne qui si riferisce agli indigeni della regione del Brasile- non vi sia nulla di barbarico e di selvaggio, a quanto me ne hanno riferito, se non che ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi; sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l'esempio e l'idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo. Ivi è sempre la perfetta religione, il perfetto governo, l'uso perfetto e compiuto di ogni cosa. Essi sono selvaggi allo stesso modo che noi chiamiamo selvatici i frutti che la natura ha introdotto da sè nel suo naturale sviluppo: laddove, in verità, sono quelli che col nostro artificio abbiamo alterati e distorti dall'ordine generale che dovremmo piuttosto chiamare selvatici. In quelli sono vive le vere e più utili e naturali virtù e proprietà, che invece noi abbiamo imbastardite in questi, soltanto per adattarle al piacere del nostro gusto corrotto. (...) Non mi rammarico che noi rileviamo il barbarico orrore che c'è in tale modo di fare, ma piuttosto del fatto che, pur giudicando le loro colpe, siamo tanto ciechi riguardo alle nostre. Penso ci sia più barbarie nel mangiare un uomo vivo che nel mangiarlo morto, nel lacerare con supplizi e martiri un corpo ancora sensibile, farlo arrostire a poco a poco, farlo mordere e dilaniare dai cani e dai porci (come abbiamo non solo letto, ma visto recentemente, non fra antichi nemici, ma fra vicini e concittadini e, quel che è peggio, sotto il pretesto della pietà religiosa), che nell'arrostirlo e mangiarlo dopo che è morto. Possiamo dunque ben chiamarli barbari, se li giudichiamo secondo le regole della ragione, ma non confrontandoli con noi stessi, che li superiamo con ogni sorta di barbarie." Queste furono le parole di Montaigne. Un altro illustre filosofo francese, più vicino ai giorni nostri, Jean-Paul Sartre, nella prefazione del 1961 all'opera di Franz Fanon, "I dannati della terra", scrisse: "Le nostre vittime ci conoscono dalle loro ferite... questo rende la loro testimonianza irrefutabile. Basta che ci mostrino quel che abbiamo fatto di loro perchè conosciamo quel che abbiamo fatto di noi. (...) Voi così liberali, così umani, che spingete l'amore della cultura fino al preziosismo, fate finta di dimenticare che avete colonie e che là massacrano in vostro nome." Queste le parole di Sartre.

Stefano